HOME PAGE PREGHIERE RACCONTI PENSIERI

lunedì 28 luglio 2014

Cristiani in Iraq: uccisi, depredati...cacciati dalle città




"Non ci sono più cristiani a Mosul"


Uccisi, depredati o, nel migliore dei casi, cacciati da una città che abitavano da (almeno) 1.400 anni: è il destino dei cristiani di Mosul, la seconda città dell'Iraq, travolta dall'offensiva dei terroristi dell'Isis (Stato islamico dell'Iraq e del Levante), il gruppo islamico radicale che - nato e cresciuto in Siria grazie all'incancrenirsi della guerra civile e all'inerzia dell'Occidente - nelle ultime settimane sta conquistando porzioni crescenti dell'antica Mesopotamia. Prendendo di mira, è bene ricordarlo, non solo i cristiani ma tutte le minoranze, a partire dai musulmani sciiti. 

Con un'azione che ricorda i peggiori pogrom della storia, i terroristi dell'Isis e le milizie sunnite che danno loro man forte hanno addirittura segnato le case dei cristiani di Mosul con il corrispettivo arabo della lettera N, iniziale di Nazareni, il nome con cui i seguaci di Gesù sono chiamati spesso nel mondo musulmano arabo. Ai tremila che avevano resistito durante gli anni, già molto difficili, della guerra civile post-Saddam, è stato intimato di andarsene. Non pochi, naturalmente, quelli che sono stati sommariamente uccisi o sono spariti nel nulla. Distrutti o danneggiati anche molti edifici, tra cui il palazzo episcopale dei siro-cattolici e l'antico monastero di Mar Behnam, da cui i monaci sono stati brutalmente cacciati (così come molte sono state anche le moschee sciite distrutte). 

«Ormai nessun cristiano si trova più a Mosul - ha dichiarato lunedì a Radio Vaticana mons. Saad Syroub, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad -. Le famiglie fuggite sono in una situazione molto difficile, perché non hanno niente: sono state derubate della loro macchina, dei soldi, della casa, del lavoro. E non possono tornare. Quindi la situazione è molto critica; c’è bisogno di un intervento urgente per aiutare queste famiglie». 

Proprio sulla necessità di un aiuto concreto e immediato insiste un testo firmato da tutti i vescovi iracheni (che rappresentano il mosaico di confessioni cristiane presenti nel Paese) e diffuso martedì scorso. Con una nemmeno troppo implicita condanna della latitanza delle istituzioni di Baghdad e dell'Occidente, i vescovi scrivono: «Attendiamo azioni concrete per rassicurare il nostro popolo, e non soltanto comunicati stampa di denuncia e di condanna: sostegno finanziario agli sfollati che hanno perduto tutto, pagare immediatamente i salari dei dipendenti statali, indennizzare tutti coloro che hanno subito perdite materiali e assicurare alloggio e continuità nella erogazione dei servizi sociali e scolastici per le famiglie che potrebbero dover trascorrere lungo tempo lontano dalle proprie case». 

Se in questo momento prevalgono le necessità materiali resta, sullo sfondo, la preoccupazione per il destino che attende i cristiani nel lungo periodo, in Iraq così come in molti altri Paesi del Medio Oriente.

Dal 2003, anno dell'invasione decisa da George W. Bush, il numero dei cristiani iracheni è sceso da quasi un milione e mezzo a circa 450mila. A Mosul erano 130mila nel 2003, erano già scesi a 10mila un anno fa e ora sono praticamente azzerati. Trend analoghi si registrano in altri Paesi della regione, anzitutto in Siria. 




È anche vero che questi tragici fatti sembrano avere attivato, più che in passato, la solidarietà dei musulmani iracheni nei confronti dei loro concittadini. Come fa notare in un'intervista lo scrittore iracheno Younis Tawfik, da anni esiliato in Italia, «i cristiani iracheni di Mossul hanno più diritto di noi alla loro terra e alle loro case. Abitano la città da prima dell’arrivo dell'islam e noi abbiamo il dovere di proteggerli». A Baghdad domenica scorsa circa duecento musulmani si sono riuniti davanti alla chiesa caldea di San Giorgio per esprimere la propria solidarietà ai cristiani. Molti innalzavano cartelli con la frase «kulluna masihiyyun», siamo tutti cristiani, e con una “N” finale. Anche sui social network si diffondono campagne di solidarietà. 

Intanto anche il Papa non fa mancare la sua voce e la sua vicinanza: martedì ha ricevuto il nunzio apostolico in Iraq, mons. Giorgio Lingua, mentre domenica - durante l'Angelus - ha ricordato la situazione dei cristiani: «La violenza si vince con la pace», ha detto con parole che in questo momento sono drammaticamente attuali in molti luoghi del mondo. 

da  http://www.popoli.info/



Nessun commento:

Posta un commento