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venerdì 4 ottobre 2013

IL CATECHISTA E' LA MEMORIA DI DIO...





OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza San Pietro
Domenica, 29 settembre 2013

Il catechista allora è un cristiano che porta in sé la memoria di Dio, si lascia guidare dalla memoria di Dio in tutta la sua vita, e la sa risvegliare nel cuore degli altri





1. «Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri, … distesi su letti d’avorio» (Am 6,1.4), mangiano, bevono, cantano, si divertono e non si curano dei problemi degli altri.

Parole dure queste del profeta Amos, ma che ci mettono in guardia da un pericolo che tutti corriamo. Che cosa denuncia questo messaggero di Dio, che cosa mette davanti agli occhi dei suoi contemporanei e anche davanti ai nostri occhi oggi? Il rischio di adagiarsi, della comodità, della mondanità nella vita e nel cuore, di avere come centro il nostro benessere. E’ la stessa esperienza del ricco del Vangelo, che indossava vestiti di lusso e ogni giorno si dava ad abbondanti banchetti; questo era importante per lui. E il povero che era alla sua porta e non aveva di che sfamarsi? Non era affare suo, non lo riguardava. Se le cose, il denaro, la mondanità diventano centro della vita ci afferrano, ci possiedono e noi perdiamo la nostra stessa identità di uomini: guardate bene, il ricco del Vangelo non ha nome, è semplicemente “un ricco”. Le cose, ciò che possiede sono il suo volto, non ne ha altri.

Ma proviamo a domandarci: come mai succede questo? Come mai gli uomini, forse anche noi, cadiamo nel pericolo di chiuderci, di mettere la nostra sicurezza nelle cose, che alla fine ci rubano il volto, il nostro volto umano? Questo succede quando perdiamo la memoria di Dio. “Guai agli spensierati di Sion”, diceva il profeta. Se manca la memoria di Dio, tutto si appiattisce, tutto va sull’io, sul mio benessere. La vita, il mondo, gli altri, perdono la consistenza, non contano più nulla, tutto si riduce a una sola dimensione: l’avere. Se perdiamo la memoria di Dio, anche noi stessi perdiamo consistenza, anche noi ci svuotiamo, perdiamo il nostro volto come il ricco del Vangelo! Chi corre dietro al nulla diventa lui stesso nullità – dice un altro grande profeta, Geremia (cfr Ger 2,5). Noi siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, non a immagine e somiglianza delle cose, degli idoli! 

2. Allora, guardandovi, mi chiedo: chi è il catechista? E’ colui che custodisce e alimenta la memoria di Dio; la custodisce in se stesso e la sa risvegliare negli altri. E’ bello questo: fare memoria di Dio, come la Vergine Maria che, davanti all’azione meravigliosa di Dio nella sua vita, non pensa all’onore, al prestigio, alle ricchezze, non si chiude in se stessa. Al contrario, dopo aver accolto l’annuncio dell’Angelo e aver concepito il Figlio di Dio, che cosa fa? Parte, va dall’anziana parente Elisabetta, anch’essa incinta, per aiutarla; e nell’incontro con lei il suo primo atto è la memoria dell’agire di Dio, della fedeltà di Dio nella sua vita, nella storia del suo popolo, nella nostra storia: «L’anima mia magnifica il Signore … perché ha guardato l’umiltà della sua serva … di generazione in generazione la sua misericordia» (Lc 1,46.48.50). Maria ha memoria di Dio.

In questo cantico di Maria c’è anche la memoria della sua storia personale, la storia di Dio con lei, la sua stessa esperienza di fede. Ed è così per ognuno di noi, per ogni cristiano: la fede contiene proprio la memoria della storia di Dio con noi, la memoria dell’incontro con Dio che si muove per primo, che crea e salva, che ci trasforma; la fede è memoria della sua Parola che scalda il cuore, delle sue azioni di salvezza con cui ci dona vita, ci purifica, ci cura, ci nutre. Il catechista è proprio un cristiano che mette questa memoria al servizio dell’annuncio; non per farsi vedere, non per parlare di sé, ma per parlare di Dio, del suo amore, della sua fedeltà. Parlare e trasmettere tutto quello che Dio ha rivelato, cioè la dottrina nella sua totalità, senza tagliare né aggiungere.

San Paolo raccomanda al suo discepolo e collaboratore Timoteo soprattutto una cosa: Ricordati, ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, che io annuncio e per il quale soffro (cfr 2 Tm 2,8-9). Ma l’Apostolo può dire questo perché lui per primo si è ricordato di Cristo, che lo ha chiamato quando era persecutore dei cristiani, lo ha toccato e trasformato con la sua Grazia.

Il catechista allora è un cristiano che porta in sé la memoria di Dio, si lascia guidare dalla memoria di Dio in tutta la sua vita, e la sa risvegliare nel cuore degli altri. E’ impegnativo questo! Impegna tutta la vita! Lo stesso Catechismo che cos’è se non memoria di Dio, memoria della sua azione nella storia, del suo essersi fatto vicino a noi in Cristo, presente nella sua Parola, nei Sacramenti, nella sua Chiesa, nel suo amore? Cari catechisti, vi domando: siamo noi memoria di Dio? Siamo veramente come sentinelle che risvegliano negli altri la memoria di Dio, che scalda il cuore?

3. «Guai agli spensierati di Sion», dice il profeta. Quale strada percorrere per non essere persone “spensierate”, che pongono la loro sicurezza in se stessi e nelle cose, ma uomini e donne della memoria di Dio? Nella seconda Lettura san Paolo, scrivendo sempre a Timoteo, dà alcune indicazioni che possono segnare anche il cammino del catechista, il nostro cammino: tendere alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza (cfr 1 Tm 6,11).

Il catechista è uomo della memoria di Dio se ha un costante, vitale rapporto con Lui e con il prossimo; se è uomo di fede, che si fida veramente di Dio e pone in Lui la sua sicurezza; se è uomo di carità, di amore, che vede tutti come fratelli; se è uomo di “hypomoné”, di pazienza, di perseveranza, che sa affrontare le difficoltà, le prove, gli insuccessi, con serenità e speranza nel Signore; se è uomo mite, capace di comprensione e di misericordia. 

Preghiamo il Signore perché siamo tutti uomini e donne che custodiscono e alimentano la memoria di Dio nella propria vita e la sanno risvegliare nel cuore degli altri. Amen.


 
 Il catechista è uomo della memoria di Dio se ha un costante, vitale rapporto con Lui e con il prossimo.

giovedì 3 ottobre 2013

Non ho detto "fare" i catechisti, ma "esserlo"


Papa Francesco ai catechisti al congresso dei catechisti a Roma







 Cari catechisti,

sono felice che nell’Anno della fede ci sia questo incontro per voi: la catechesi è un pilastro per l’educazione della fede, e ci vogliono buoni catechisti! Grazie di questo servizio alla Chiesa e nella Chiesa. Anche se a volte può essere difficile, si lavora tanto, ci si impegna e non si vedono i risultati voluti, educare nella fede è bello! Aiutare i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti a conoscere e ad amare sempre di più il Signore è una delle avventure educative più belle, si costruisce la Chiesa! “Essere” catechisti! Badate bene, non ho detto “fare” i catechisti, ma “esserlo”, perché coinvolge la vita. Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza. Ed “essere” catechisti chiede amore, amore sempre più forte a Cristo, amore al suo popolo santo. E questo amore, necessariamente, parte da Cristo.

Che cosa significa questo ripartire da Cristo per un catechista, per voi, anche per me, perché anch’io sono catechista?

1. Prima di tutto ripartire da Cristo significa avere familiarità con Lui. Gesù lo raccomanda con insistenza ai discepoli nell’Ultima Cena, quando si avvia a vivere il dono più alto di amore, il sacrificio della Croce. Gesù utilizza l’immagine della vite e dei tralci e dice: rimanete nel mio amore, rimanete attaccati a me, come il tralcio è attaccato alla vite. Se siamo uniti a Lui possiamo portare frutto, e questa è la familiarità con Cristo.

La prima cosa, per un discepolo, è stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui. E questo vale sempre, è un cammino che dura tutta la vita! Per me, ad esempio, è molto importante rimanere davanti al Tabernacolo; è uno stare alla presenza del Signore, lasciarsi guardare da Lui.




E questo scalda il cuore, tiene acceso il fuoco dell’amicizia, ti fa sentire che Lui veramente ti guarda, ti è vicino e ti vuole bene. Capisco che per voi non è così semplice: specialmente per chi è sposato e ha figli, è difficile trovare un tempo lungo di calma. Ma, grazie a Dio, non è necessario fare tutti nello stesso modo; nella Chiesa c’è varietà di vocazioni e varietà di forme spirituali; l’importante è trovare il modo adatto per stare con il Signore; e questo si può, è possibile in ogni stato di vita. In questo momento ognuno può domandarsi: come vivo io questo “stare” con Gesù? Ho dei momenti in cui rimango alla sua presenza, in silenzio, mi lascio guardare da Lui? Lascio che il suo fuoco riscaldi il mio cuore? Se nel nostro cuore non c’è il calore di Dio, del suo amore, della sua tenerezza, come possiamo noi, poveri peccatori, riscaldare i cuori degli altri?

2. Il secondo elemento è questo: ripartire da Cristo significa imitarlo nell’uscire da sé e andare incontro all’altro. Questa è un’esperienza bella, e un po’ paradossale. Perché? Perché chi mette al centro della propria vita Cristo si decentra! Più ti unisci a Gesù e Lui diventa il centro della tua vita, più Lui ti fa uscire da te stesso, ti decentra e ti apre agli altri. Questo è il vero dinamismo dell’amore, questo è il movimento di Dio stesso!



Dio è il centro, ma è sempre dono di sé, relazione, vita che si comunica… Così diventiamo anche noi se rimaniamo uniti a Cristo, Lui ci fa entrare in questo dinamismo dell’amore. Dove c’è vera vita in Cristo, c’è apertura all’altro, c’è uscita da sé per andare incontro all’altro nel nome di Cristo.

Il cuore del catechista vive sempre questo movimento di “sistole - diastole”: unione con Gesù - incontro con l’altro. Sistole - diastole. Se manca uno di questi due movimenti non batte più, non vive. Riceve in dono il kerigma, e a sua volta lo offre in dono. E’ così nella natura stessa del kerigma: è un dono che genera missione, che spinge sempre oltre se stessi. San Paolo diceva: «L’amore di Cristo ci spinge», ma quel “ci spinge” si può tradurre anche “ci possiede”. E’ così: l’amore ti attira e ti invia, ti prende e ti dona agli altri. In questa tensione si muove il cuore del cristiano, in particolare il cuore del catechista. Chiediamoci tutti: è così che batte il mio cuore di catechista: unione con Gesù e incontro con l’altro? Si alimenta nel rapporto con Lui, ma per portarlo agli altri? Vi dico una cosa: non capisco come un catechista possa rimanere fermo, senza questo movimento.


3. E il terzo elemento sta sempre in questa linea: ripartire da Cristo significa non aver paura di andare con Lui nelle periferie. Qui mi viene in mente la storia di Giona, una figura davvero interessante, specialmente nei nostri tempi di cambiamenti e di incertezza. Giona è un uomo pio, con una vita tranquilla e ordinata; questo lo porta ad avere i suoi schemi ben chiari e a giudicare tutto e tutti con questi schemi, in modo rigido. Perciò quando il Signore lo chiama e gli dice di andare a predicare a Ninive, la grande città pagana, Giona non se la sente. Ninive è al di fuori dei suoi schemi, è alla periferia del suo mondo. E allora scappa, fugge via, si imbarca su una nave che va lontano. Andate a rileggere il Libro di Giona! E’ breve, ma è una parabola molto istruttiva, specialmente per noi che siamo nella Chiesa.



Che cosa ci insegna? Ci insegna a non aver paura di uscire dai nostri schemi per seguire Dio, perché Dio va sempre oltre, Dio non ha paura delle periferie. Dio è sempre fedele, è creativo, non è chiuso, e per questo non è mai rigido, ci accoglie, ci viene incontro, ci comprende. Per essere fedeli, per essere creativi, bisogna saper cambiare. Per rimanere con Dio bisogna saper uscire, non aver paura di uscire. Se un catechista si lascia prendere dalla paura, è un codardo; se un catechista se ne sta tranquillo finisce per essere una statua da museo; se un catechista è rigido diventa incartapecorito e sterile. Vi domando: qualcuno di voi vuole essere codardo, statua da museo o sterile?

Ma attenzione! Gesù non dice: andate, arrangiatevi. No! Gesù dice: Andate, io sono con voi!

Questa è la nostra bellezza e la nostra forza: se noi andiamo, se noi usciamo a portare il suo Vangelo con amore, con vero spirito apostolico, con parusia, Lui cammina con noi, ci precede, ci “premierà” sempre. Ormai avete imparato il senso di questa parola. E questo è fondamentale per noi: Dio sempre ci precede! Quando noi pensiamo di andare lontano, in una estrema periferia, e forse abbiamo un po’ di timore, in realtà Lui è già là: Gesù ci aspetta nel cuore di quel fratello, nella sua carne ferita, nella sua vita oppressa, nella sua anima senza fede. Gesù è lì, in quel fratello. Lui sempre ci precede.

Cari catechisti, vi dico grazie per quello che fate, ma soprattutto perché ci siete nella Chiesa, nel Popolo di Dio in cammino. Rimaniamo con Cristo, cerchiamo di essere sempre più una cosa sola con Lui; seguiamolo, imitiamolo nel suo movimento d’amore, nel suo andare incontro all’uomo; e usciamo, apriamo le porte, abbiamo l’audacia di tracciare strade nuove per l’annuncio del Vangelo.

Il Signore vi benedica e la Madonna vi accompagni.