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domenica 29 dicembre 2013

Il vero discepolo di Cristo ha condiscepoli e si fa condiscepolo.

L'essere discepolo....



DISCEPOLI   O  CONDISCEPOLI?



La domanda sembra anche stavolta retorica. Eppure rimanda ad una alternativa non
del tutto rara nel pensiero e nell’esperienza di tanti credenti. Fin troppo facile è cedere ad un
senso solitario, individualistico dell’essere cristiani, salvo poi accostarvi un po’
estrinsecamente l’appartenenza alla Chiesa, come una sorta di condizione successiva
all’essere diventati cristiani, una specie di iscrizione facoltativa ad un club, ad una congrega di
elezione o, meglio, secondo gradimento. La verità è che un discepolo di Gesù è veramente tale
se nasce al discepolato con altri, se vive e cammina con altri discepoli. Il vero discepolo di
Cristo ha condiscepoli e si fa condiscepolo.

L’esperienza paolina è significativa in tal senso. Ciò che capita a Paolo è esemplare per
tutti noi. Infatti, secondo il racconto del libro degli Atti, è il Signore stesso a invitare, inviare e
condurre Paolo verso la comunità cristiana già esistente (cf. At 9,6; 22,10). Come a dire che
non c’è iniziativa dall’alto senza incontro terreno; non può esserci incontro con il Signore, o
meglio del Signore con noi, che non conduca prontamente e necessariamente all’incontro
fraterno – nel senso della fraternità della fede – fra di noi.

Proprio vero che giungere alla fede ed entrare a far parte della Chiesa sono quasi la stessa cosa, si appartengono l’un l’altro.
La comunità cristiana non è esteriore alla relazione personale con Dio instaurata nella fede. La
Chiesa appartiene alla struttura costitutiva della nostra fede tanto quanto la nostra fede ci
inserisce, ci rende appartenenti alla Chiesa.

Questo legame di reciprocità non è una figura astratta, una entità immaginaria; al
contrario si incarna in volti concreti, in rapporti reali. Il Signore che chiama Paolo, interpella
nello stesso tempo Anania. Il Signore precede Paolo nell’incontro con Anania e prepara
quest’ultimo a incontrare Paolo, che ha riempito della luce della sua rivelazione.

Il rinvio alla Chiesa, alla comunità cristiana con i suoi volti e le sue figure concrete, è una sorta di
controprova che la chiamata viene veramente da Dio, e non è una fatua emozione interiore.
Perché quando il Signore chiama lo fa anticipando i nostri passi e preparando i nostri incontri.
Le figure che sono riferimento nella comunità cristiana svolgono diverse funzioni in
relazione al cammino del nuovo discepolo: sottopongono ad un discernimento, aiutano a
leggere la volontà di Dio su di lui, preparano, sostengono e accompagnano con la preghiera,
ammettono alla vita della Chiesa con i sacramenti, primo fra tutti il battesimo, seguono nei
primi passi dell’impegno ecclesiale e dell’azione missionaria, proteggono nei momenti difficili
(cf. At 9,10-30; 22,12-16), accreditano presso la comunità quando necessario, come fa
Barnaba per Paolo (cf. At 9,27-28).

Il cammino storico della fede cristiana ha conosciuto una evoluzione e una
articolazione delle forme in cui si è presentato il discepolo che accompagna, a cominciare dal
ministro ordinato che celebra i sacramenti e annuncia autorevolmente la Parola, a continuare
con quelli che affiancano in vario modo, soprattutto con quella figura designata variamente
come padre, guida, direttore, accompagnatore spirituale. Tutta esperienza di vita cristiana che
ci dice come abbiamo bisogno di un confronto costante con qualche fratello o sorella perché il
nostro sia davvero un cammino credente dietro a Gesù.

Sta qui uno dei sensi fondamentali della Chiesa nel suo insieme: strapparci al nostro
solipsismo, al nostro isolamento, alla pretesa autosufficienza, per aprirci e accogliere
veramente la chiamata e la presenza di Dio, la sua salvezza in Gesù, e imitarlo realizzando in
noi il movimento di uscita da se stessi per diventare noi stessi nell’atto di donarci per amore a
lui e ai fratelli. La fraternità nella Chiesa è un contrassegna formidabile e fondamentale della
autenticità della nostra fede e della qualità della nostra vita comune. Lasciarci aiutare e
dedicarci ad aiutare gli altri per incontrare personalmente e insieme il Signore che illumina,
salva, fa strada davanti a noi e invia dinanzi a sé: questa è la lezione permanente del
“condiscepolato” cristiano.

Mariano Crociata
Vescovo

sabato 28 dicembre 2013

Catechisti/e, non dite siamo lasciati soli…


Tutti insieme attingiamo dalla stessa fonte


E' questa una delle visioni agostiniane fatte proprie dal Concilio Ecumenico Vaticano II: il vescovo è prima di tutto un cristiano insieme agli altri cristiani. Egli non è superiore a nessuno, ha solo un compito, fra gli altri, all'interno del popolo di Dio. Ma il Maestro è uno solo, Cristo; il Padre è uno solo, il Padre del cielo. Il vescovo ha bisogno del sostegno e della preghiera dei fratelli; e quello che è chiamato a dispensare agli altri, quale buon amministratore della casa di Dio, il vescovo lo succhia a sua volta dalla Parola rivolta a tutto il popolo.
Frasi meravigliose di Sant’Agostino, vescovo d’Ippona:


Tutti i cristiani sono discepoli del Cristo.
Infatti uno solo è il vostro Maestro, Cristo (Mt 23,10).
Negherà di essere discepolo di Cristo solo colui che negherà che Cristo è il suo Maestro.
Non dunque per il fatto che vi parlo da un luogo posto più in alto, io sono vostro maestro.
E’ infatti il maestro di tutti, colui la cui cattedra è al di sopra di tutti i cieli


SOTTO DI LUI SIAMO RIUNITI IN UNA SOLA SCUOLA E VOI E NOI SIAMO CONDISCEPOLI.


Il nostro ruolo è solo di ammonirvi, come i capiclasse nelle scuole.
Rialzate dunque, fratelli, rialzate il nostro fardello e portatelo con me: vivete bene.
Io oggi devo dar da mangiare ai poveri che sono poveri con me.
Con loro devo comunicare la mia umanità.
Le mie parole sono il vostro pranzo.
Non riesco a pascervi tutti con un pane che si può vedere e toccare.



NUTRISCO CON QUELLO DA CUI SONO NUTRITO; SONO SERVITORE, NON IL PADRE DI FAMIGLIA.


- Metto davanti a voi ciò di cui io stesso vivo, dal tesoro del Signore, dalla mensa di quel padre di famiglia che per noi si è fatto povero, essendo ricco, perché noi fossimo ricchi della sua povertà.

- Se vi dessi un pane, spezzato il pane portereste via ognuno un piccolo pezzo; e se foste molti, ognuno ne porterebbe via un pezzo molto piccolo.

- Adesso invece quello che dico ce l'avete tutto tutti, e ognuno ce l'ha tutto.

- Forse dividete fra voi le sillabe del mio parlare? Forse che portate via le parole che compongono il sermone?

- Ma vedete anche che io sono uno che distribuisce, non l'esattore.

- Se non distribuissi e tenessi il denaro per me, il Vangelo mi atterrisce.

- Potrei dire, perché procurare del fastidio agli uomini? Ho ricevuto di chi vivere, vivrò come mi è stato chiesto e comandato di vivere.

Ma il Vangelo mi atterrisce.

- Infatti, se fosse per me, passerei la vita in questo riposo sicuro e senza alcun impegno: per me non c'è niente di meglio, di più dolce, che scrutare il tesoro del Signore senza nessuno che mi dia fastidio. Cosa dolce e buona.

- Invece predicare, correggere, rimproverare, edificare, darsi da fare per ognuno, oh che peso grande, che fatica, che lavoro! Chi non rifiuterebbe questa fatica?

Mi atterrisce il Vangelo.

- Infatti arriva il servo che ha messo da parte il talento e dice: so che sei un uomo molesto che vuoi mietere dove non hai seminato, ecco il tuo talento che ho conservato. Ma il padrone lo giudica e gli dice: avresti almeno potuto dare il mio denaro a chi l'avesse fatto fruttificare e io venendo lo avrei ritirato con gli interessi.

- Ti avevo posto come dispensatore, non come esattore.

Questo è esattamente il mio dare: chi era cattivo ieri, sia buono oggi.