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domenica 15 settembre 2013

Catechesi: relazionare per crescere insieme



        RELAZIONARE NELLA PARROCCHIA




Cristiani si diventa, non si nasce.

Cercare un itinerario condiviso in cui “educatori ed educandi” intrecciano un’esperienza umana e spirituale profonda e coinvolgente


In ogni parrocchia ci sono delle persone volenterose che prestano la loro opera e si mettono al servizio delle necessità della comunità cristiana.



Possiamo descrivere chi sono queste persone, o meglio elencare i gruppi  di cui fanno parte:

- Consiglio pastorale: laici che affiancano il parroco nella preparazione delle attività parrocchiali;

- Catechisti: operatori di catechesi (catechismo) che di solito si dedicano all’insegnamento delle prime verità cristiane, rivolto a bambini e ragazzi. Questo per prepararli a ricevere i sacramenti, prima comunione e cresima.

- Gruppi vari: azione cattolica, gruppi sposi, gruppo biblico, scouts, caritas, ministri dell’eucaristia, gruppo liturgico, gruppo del decoro della chiesa , redazione del giornalino parrocchiale etc.


Le domande che ci facciamo sono:

Come relazionano, se lo fanno, tra di loro tutte queste persone o gruppi?

C’è qualcosa che li unisce, che fanno insieme, per esempio pregano ogni tanto insieme? Mettono in comune le loro esperienze onde migliorare il loro lavoro? Come incidono nella vita parrocchiale, sono capaci di entusiasmare gli altri , attirarli ad una migliore partecipazione e scelta di vita? Sono capaci di stare insieme e fare festa? Credono di essere arrivati e di non avere bisogno di ulteriore formazione? Partendo dal presupposto che un cristiano veramente tale è formato non quando ha imparato una certa quantità di contenuti di fede, ma quando ha assimilato le verità cristiane; una volta fatto ciò le trasforma in convinzioni radicate a livello personale e in atteggiamenti di vita coerenti e adeguati, in modo da essere un  testimone del Maestro Gesù.



Se questo è il presupposto per ogni cristiano, con maggior ragione lo deve essere per tutti coloro che hanno ricevuto una chiamata speciale dal Signore: essere operai della sua vigna, operai che aiutano in un modo o in un altro i fratelli.



“Cristiani si diventa, non si nasce. Questo notissimo detto di Tertulliano sottolinea la necessità della dimensione propriamente educativa (formazione) della vita cristiana. Si tratta di un itinerario condiviso, in cui educatori ed educandi intrecciano un’esperienza umana e spirituale profonda e coinvolgente”. ( Educare alla vita buona del Vangelo, 25)



La chiamata speciale ricevuta non ci mette al disopra degli altri, ma ci fa fratelli  che danno una mano ai fratelli minori che devono ancora fare una scelta libera di vita cristiana, ovvero fatta la loro scelta vogliamo che camminino insieme a noi.

Ecco allora che possiamo parlare di formazione cristiana seguendo l’esempio datoci da Gesù con la sua vita, azioni e parole quando per le vie della Palestina andava incontro alla sua gente. E da questo nessuno pensi di esentarsi perché siamo stati chiamati a generare assieme al Parroco figli di Dio, e perché chiamati diventiamo responsabili  della missione ricevuta: “A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà chiesto molto di più” (Lc 12,48).



In questa formazione tutti sono impegnati, dal parroco all’ultimo chiamato, in una stretta relazione di collaborazione e comunione.

Da questo punto di vista nella parrocchia, proprio perché “casa di tutti”, il parroco che è il responsabile principale, non può pensare di proporre una formazione standard che vada bene per tutti, né può accontentarsi di una formazione approssimativa, fonte di un cristianesimo qualunquista, ma in base ai compiti e alla preparazione di ognuno va curata una catechesi appropriata, in modo che tutti possano essere preparati per la missione ricevuta.



Anche i parroci rivedano la loro formazione pastorale in modo da essere “buon pastore” delle loro pecorelle..

Deve esistere la convinzione della bontà di questa formazione, desiderarla, sollecitarla a tutti i livelli, comunitario e personale: è il primo modo di relazionare e imparare a relazionarsi con i propri compagni di viaggio, nella riscoperta della propria fede, la spiritualità, il proprio contesto umano e professionale.



La maturità cristiana si può misurare secondo tre indicatori che devono essere compresenti:

           

1) la capacità di costruire e mantenere un forte legame con il Signore nella preghiera e nei sacramenti;

2) la capacità di amare se stesso e il prossimo;

3) la capacità di compiere scelte di vita definitive.



Ogni gruppo parrocchiale ha dei compiti da portare avanti: la formazione deve avere due finalità, se stessi e la parrocchia, parrocchia intesa qui come tutto il resto dei fedeli che devono venire a conoscenza dell’esistenza dei gruppi e di quello che fanno.

Per esempio un gruppo che si dedica all’approfondimento della bibbia farà partecipe la comunità di ciò che fa trasmettendo le proprie conquiste di conoscenza e di fede, magari con un volantino o organizzando dei forum parrocchiali, collaborando col gruppo liturgico.





I catechisti ai quali sono stati affidati dei bambini, dei ragazzi devono coinvolgere i genitori, assieme al parroco, mettendoli al corrente dei progressi dei ragazzi e organizzando dei momenti di formazione per loro, momenti di festa per conoscersi meglio e stare allegri nel Signore, collaborare con il gruppo biblico e con quello che si occupa della liturgia.

In sostanza ogni gruppo deve essere conosciuto dai parrocchiani e deve farsi conoscere per quello che fa con lo scopo di fare comunione  e in questa dare stimoli di entusiasmo, di crescita e magari di partecipazione e collaborazione.



Ogni gruppo non sia isolato nel suo lavoro: il mettere insieme con tutti gli altri la loro esperienza di fede in giornate di fraternità, che non siano soltanto giornate di riflessione e di preghiera ma anche di festa, aiutano ad aumentare la fratellanza, l’amicizia e la convivialità.

Spetterebbe al consiglio pastorale promuovere delle giornate di festa aperte a tutta la comunità parrocchiale  (due o tre volte l’anno), giornate in cui si fa festa, si mette al corrente la comunità dei programmi pastorali ,e si coglie l’occasione per un incontro di formazione e di preghiera. Celebrare una volta l’anno l’anniversario dei matrimoni come festa della famiglia.

Gli altri al vederci, come per i primi cristiani, possano esclamare: come si amano, come è bello stare insieme”



Catechesi come formazione di ogni collaboratore, chiamato dal Signore, in funzione di incontri con i fratelli della Parrocchia, vicini e lontani. Incontri in cui bisogna avere tanta capacità di ascolto per conoscere l’altro, occhi per vedere e studiare situazioni che normalmente ci sfuggono. Come  Gesù con la folla che lo seguiva:



“La folla segue Gesù mossa dalla speranza di ricevere qualcosa di decisivo. Pur provenendo da città e situazioni diverse, appare animata da un desiderio comune.

Gesù stesso si fa interprete delle attese profonde dei presenti. Lo sguardo che rivolge loro non è distaccato, ma partecipe, perché non scorge una folla anonima, bensì persone, di cui coglie il bisogno inespresso.



Gesù vede in loro «pecore che non hanno pastore»: è una metafora che rivela la situazione di un popolo che soffre per la mancanza di una guida autorevole o è disorientato da maestri inaffidabili.

Lo smarrimento della folla suscita in Gesù una “compassione”, che non è un’emozione superficiale,

ma è lo stesso sentire con cui Dio, nella vicenda dell’esodo, ha ascoltato il gemito del suo popolo

e se ne è preso cura con vigore e tenerezza.



Il bisogno delle persone interpella costantemente Gesù,

che risponde ogni volta manifestando l’amore compassionevole del Padre” (Educare alla vita buona del Vangelo cap.2.17).



Come Gesù quando insegnava con l’autorevolezza che viene dal Padre, dobbiamo proporre ciò che lui ci ha insegnato, essere testimoni della Parola come Gesù lo fu e continua ad esserlo del Padre:

La prima azione di Gesù è l’insegnamento: «si mise a insegnare loro molte cose».



“Gesù è cosciente di essere anzitutto il Maestro: per questo, con l’autorevolezza che viene dal Padre, comincia con l’indicare le vie della vita autentica. Egli rivela il mondo nuovo voluto da Dio e chiama a esserne parte, sollecitando ciascuno a cooperare alla sua edificazione nella pace. Il popolo che egli pasce è invitato ad ascoltare la sua parola, che conduce e fa riposare su pascoli erbosi (cfr Sal 23,2).

Gesù non smetterà di insegnare, parlando al cuore, neppure di fronte all’incomprensione della folla e dei suoi stessi discepoli”. (Educare alla vita buona del Vangelo cap.2.18)


Educare, convivere, stare, crescere insieme in un mondo che cambia

Il documento CEI parla di “opera educativa” in un mondo che cambia: conosciamo questo mondo che cambia? Conoscere, ricordiamo che significa entrare nell’anima dell’altro: non è la nostra intelligenza che ci fa conoscere l’altro ma il nostro cuore che ci farà ascoltare e parlare con intelligenza.




«Bisogna, infatti, conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico», che ci ha ricordato il Concilio Vaticano II, indicando pure il metodo: «Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche».  Tutto il popolo di Dio, dunque, con l’aiuto dello Spirito, ha il compito di esaminare ogni cosa e di tenere ciò che è buono (cfr 1Ts 5,21), riconoscendo i segni e i tempi dell’azione creatrice dello Spirito. Compiendo tale discernimento, la Chiesa si pone accanto a ogni uomo, condividendone gioie e speranze, tristezze e angosce e diventando così solidale con la storia del genere umano”. (Educare alla vita buona del Vangelo cap.1.7)



Si parla di “educare”, ma in realtà, come si è detto altrove in questo lavoro, si tratta di riuscire a viaggiare insieme, dare e ricevere amicizia per incontrare il Maestro,bando all’individualismo sia del singolo che del gruppo.

Si cercherà di relazionare, ogni gruppo nel suo ramo e tutti con la comunità parrocchiale in un programma che abbracci ogni età e situazione.






Relazionare infine, vuol dire essere comunità, piccola comunità nella comunità più grande, la Chiesa.




Per concludere ancora una paginetta che riporto dal libro  Spiritualità di comunione”, a cura di Juan Battista Cappellaro: “Perché ci sia una comunità non è necessario che tutte le persone siano mature. Ne è un esempio la famiglia.


-  Una comunità è matura quando:
ha integrato tutti i suoi membri, cioè ognuno ha e sa di avere il suo posto, il suo ruolo organico, senza sentirsi frustrato, ma anzi completato, potenziato dal ruolo altrui, come membra in un corpo anziché rivali (il “noi”). E ciascuno si fa responsabile dell’insieme, conscio del fine che si vuole raggiungere; è capace di assimilare nuovi membri sa assumere la realtà: accetta i membri quali sono, rispetta le differenze, i tempi e i ritmi di maturazione,ecc. Ha pertanto il senso della storicità; sopporta gli insuccessi, reagendo positivamente, e resiste alle tensioni senza dividersi; è consapevole dei suoi limiti ed è perciò continuamente impegnata nella propria conversione attraverso l’autocritica, la revisione e la correzione fraterna.


-  Una comunità è matura nella misura:
dell’oblatività dei suoi membri, che raggiunge il punto più elevato quando questi sanno mettere autenticamente insieme il loro destino;

dell’apertura agli altri; dell’oblatività e della ricettività, che confluiscono nella capacità di generare nuove comunità”.

-  Infine si raccomanda il dialogo, frutto di tutti i processi nella pastorale perché:
“ fa crescere armonicamente i membri della comunità;

permette la mutua conoscenza, frutto dell’amore;

accresce la fiducia reciproca, elemento fondamentale della vita comunitaria;

socializza e rende creativi, è cioè fonte di progresso e di costruzione;

orienta le tensioni, che sono normali in una comunità;

favorisce il superamento dei complessi personali e comunitari (timidezza, aggressività, autosufficienza) e dei contrasti.




 Il dialogo stesso ha raggiunto la sua maturità quando il dare e il ricevere toccano quella profondità dove l’uno e l’altro si confondono, divenendo mutua partecipazione, cioè quando ciò che è mio è tuo; ciò che tuo è mio”(idem).


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