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martedì 23 luglio 2013

Si può parlare con il cuore?








Il Cristiano:

una finestra aperta verso il mondo

per parlare col cuore,

amare,

condividere


Per molti anni si è creduto che il cuore fosse la sede dei nostri sentimenti, i suoi battiti segnalavano i nostri atteggiamenti di rabbia, di dolore, di sofferenza, di gioia, di serenità, di allegria, di amore, di odio. Soprattutto si è creduto che cuore fosse sinonimo di amore. Da esso scaturiva quella forte energia che ci indirizzava verso gli altri, genitori, figli, parenti, amici, quella situazione che ci faceva stare bene con noi stessi e con gli altri. Sì, perché amare è un verbo che ci mette in relazione con gli altri, che ci fa usare le parole giuste per comunicare, che guida i nostri occhi ad incontrare quelli di altre persone in una intesa velocissima e profonda, istintiva.

Amare è farsi capire e cercare di capire l’altro, mettere insieme i nostri modi di vivere e sentire; amare è mettere in comunione il nostro essere, e solo amando si può raggiungere l’altro.
Succede che quando amiamo una persona abbiamo bisogno di sentire i battiti del nostro cuore: più forte è l’intensità del nostro amore e più frequenti e veloci saranno i battiti di questo muscolo che a volte sembra scoppiare.
I battiti del cuore in una persona che non ha mai amato o che non ama possiamo paragonarli all’esito di un elettrocardiogramma piatto: un cuore insensibile.
Spesso, non ci facciamo caso, i nostri discorsi trasmettono parole aride, senza afflato che non dicono e non parlano con amore, non raggiungono l’altro, annoiano anziché entusiasmare.
Amare vuol dire dirigersi verso l’altro con affetto sollecitando risposte, assensi, condivisione. Possiamo essere molto intelligenti, uomini di cultura, ma la nostra intelligenza e la nostra cultura se non sono accompagnate da sentimenti di vita nella trasmissione agli altri, sono rintocchi di una campana stonata. Uno scienziato davanti ad una scoperta esulta di gioia quando trasmette ad altri la sua scoperta e il suo entusiasmo è contagioso, i battiti del suo cuore sono alle stelle, egli ha parlato con il cuore.

Un professore che trasmette il suo sapere senza entusiasmare avrà degli allievi passivi, non partecipi, annoiati.


Intelligenza e cuore è possibile metterli insieme?

Sarà possibile se ne siamo veramente convinti, se veramente vogliamo stabilire un contatto di vita con gli altri, intavolare un dialogo tendendo allo scambio delle ricchezze personali.
Il dialogo è la strada scelta da Dio per realizzare il Suo Regno d’amore, è il mezzo che rende la storia di salvezza una nuova creazione, è la via attraverso la quale noi collaboriamo con Dio nel costruire la sua Chiesa, il suo Regno.

Prima regola del dialogo non è il parlare ma l’ascolto, l’ascolto paziente, non annoiato, senza fretta di dire la nostra. L’ascolto ci fa conoscere l’altro, il nostro interesse nel conoscere l’altro prepara le nostre parole ad essere più incisive e appropriate e lo saranno se parliamo con il cuore, animati da una fiducia reciproca. Solo così acquistiamo l’autorevolezza di parlare al cuore dell’altro.
Da qui l’invito, se invitati a parlare, a preoccuparci di conoscere il pubblico, il suo modo di vivere, la sua preparazione culturale e quant’altro…Parlare con il cuore si chiama vuol dire conoscere l’altro.

Ricordiamo ciò che dicevano di Gesù: “ Nessuno ha mai parlato come Lui”. Sì, perché la gente vedeva che parlava con autorità e saggezza, che i suoi atteggiamenti erano di compassione e amore per il popolo, era da parte della gente, uno di loro, un amico. Il parlare di Gesù non esprimeva voglia di potere ma solo sentimenti di attenzione, di amore, di servizio.
Gesù parlava con l’autorità di Figlio di Dio: non crediamo mai per un  solo momento di essere infallibili.




Dialogare vuol dire che anche l’altro può arricchirmi, che io possa sbagliare ed essere corretto a mia volta. Dialogare è non dare niente per scontato perché:

“Occorre a questo scopo far nostra l’antica sapienza che, senza portare alcun pregiudizio al ruolo autorevole dei pastori, sapeva incoraggiarli al più ampio ascolto di tutto il Popolo di Dio” (Giovanni Paolo Secondo).

“Spesso a uno più giovane il Signore ispira un parere migliore” (san Benedetto).

«Pendiamo dalla bocca di tutti i fedeli, perché in ogni fedele soffia lo Spirito di Dio»” (San Paolino di Nola).

“ I santi rivelano con la loro vita l’azione potente dello Spirito che li ha rivestiti dei suoi doni e li ha resi forti nella fede e nell’amore. Ogni cristiano è chiamato a seguirne l’esempio, cogliendo il frutto dello Spirito, che è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Educare alla vita buona del Vangelo,22).

“Promuovere un’autentica vita spirituale richiesta, oggi diffusa, di accompagnamento personale. Si tratta di un compito delicato e importante, che richiede profonda esperienza di Dio e intensa vita interiore. In questa luce, devono essere attentamente vagliati i segni di risveglio religioso presenti nella società: essi possono rivelare l’azione dello Spirito e la ricerca di un senso che dia unità all’esistenza” (ibidem, 23.)

Essere come un libro aperto.

La catechesi deve sempre tornare alla novità del cristianesimo. Solo quando questo avviene, le persone si sentono ogni volta di nuovo “trafiggere” il cuore nell’incontrare Cristo. In questo senso, se esiste un “primo annunzio” che è previo alla catechesi, esiste anche una “prima evangelizzazione” che avviene dentro la catechesi dell’IC e che la deve contraddistinguere”.(Antonio Leonardo, quali orientamenti per il rinnovamento dell’iniziazione ELLEDICI)

Quando incontriamo una persona spesso può capitare che nascondiamo le nostre emozioni come se volessimo nascondere qualcosa, ovvero abbiamo paura del giudizio dell’altro. Le emozioni debbono invece essere una risorsa per farsi conoscere, per accompagnare le nostre parole, per comunicare meglio quello che abbiamo dentro che ci rende testimoni della nostra vita, della nostra fede. Le emozioni che accompagnano le parole suscitano emozioni, aiutano la comprensione, fomentano l’amicizia.  Sia il nostro parlare sincero, veritiero: sì, si; no, no. Non lasciamoci schiacciare dalla razionalità, ma siamo emotivamente intelligenti mettendo la razionalità al servizio del cuore.




“Si deve riuscire a comunicare dal cuore e con il cuore per arrivare al cuore dell'altro, dando il necessario spazio ai sentimenti e alle emozioni. Questo significa aprirsi sinceramente alla cultura del dialogo, dell'uguaglianza e della parità dei diritti. Entrare in una dimensione comunicativa e relazionale vera, autentica, profondamente gratificante, alla base della quale ci sono sentimenti importanti come la fiducia, la tolleranza, l'empatia, l'amore e il rispetto per l'altro. Tutto questo è intelligenza emotiva! Ed è quello che serve per creare sintonia comunicativa, cultura del dialogo, simmetria relazionale, convergenza sugli obiettivi e, in ultima analisi, un risultato finale reciprocamente soddisfacente, che consente ad entrambi di vincere e di sentirsi Ok” (Dott. Angelo Battista, benessere.com.)

Parlare con il cuore sviluppa l’orientamento al dialogo che nasce man mano che ci si conosce, si condivide, si lavora insieme: insieme si vince e si perde trovando sempre la strada per continuare o ricominciare.
“Un passo degli Atti degli Apostoli esprime in maniera splendida questo. “All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro: che cosa dobbiamo fare?” (At 3,37).

“Un cuore trafitto è un cuore che è stato conquistato, che è stato persuaso, che ha intuito una possibilità nuova. La “trafittura del cuore” non è semplicemente un momento previo all’Iniziazione cristiana, è la forza e la bellezza di essa. Certamente l’essere attratti dal cristianesimo precede la catechesi, poiché una persona chiede di essere accompagnata in un cammino di iniziazione solo dopo che ha almeno intuito il valore della proposta cristiana, ma questa “attrazione” non può essere data come avvenuta una volta per tutte.
Al contrario, la forza

Un esempio di comunicazione profonda:   

“La mia professione di insegnante mi pone quotidianamente di fronte alle dinamiche relazionali dei bambini che, non sempre, sono facili da gestire. All’inizio della mia carriera, lavorai in una classe particolarmente problematica, conflittuale (aggressività e casi di bullismo) e con difficoltà socio/culturali. Ricordo che talvolta, l’esasperazione era tale da arrivare ad urlare quasi istericamente, nel vano tentativo di farmi ascoltare. Un giorno un bambino mi guardò dritto negli occhi e con aria arrabbiata ma molto consapevole mi disse: ”Quando urli così mi fai spaventare. Io ti ucciderei!”. Fui favorevolmente colpita dalla capacità e dal coraggio del bambino di esplicitare un contenuto così forte ad un adulto e, in qualche modo, ne fui orgogliosa perché voleva dire che il bambino si sentiva al sicuro nella possibilità di esprimere il suo sentire. Avevo lavorato bene! Una parte di me sentiva giusta la rabbia di quel bambino e comprendeva la sua paura ma l’altra sentiva il bisogno di comunicare anche le sue emozioni….”Mi spiace d’averti fatto spaventare ma quando cerco di parlare con voi e non mi date retta, mi sento invisibile, è come se non ci fossi. Questo mi fa star male ed è questo il motivo per cui urlo. Ti è mai capitato di sentirti così?” Il suo volto si illuminò.” Sì, con i miei genitori quando non mi ascoltano. Sto male e spaccherei tutto!”. Da quel giorno, non smisi di urlare all’occorrenza ma ogni volta che succedeva, uno sguardo di intesa ci univa. Si era creata un’alleanza fondata non sulla facile “seduzione” del potere dell’insegnante ma sulla fiducia e sulla com-prensione col cuore”. (Monica Fonti, su  www.naturopataonline.org)

Gesù insegnava e tutti ne facevano grandi lodi

Maestro buono cosa devo fare per seguire te e per dedicarmi agli altri e parlare col cuore?

Questa è la domanda che ogni cristiano, ogni operatore di catechesi deve porsi, in un dialogo continuo col Maestro. Vangelo in mano per leggere, riflettere sul metodo di Gesù. Scopriremo che è stato un grande amico, l’amico più grande che sia mai esistito, l’amico che ha amato tutto il mondo fino a sacrificare la sua vita per amore degli uomini.

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando”.
(Giov 15,12-14).

Gesù ha lasciato dei segni per dimostrare la sua divinità operando prodigi e anche miracoli ed ebbe a dire: “ Se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile” (Mt 17,20).
Essere amici, avere fede in Lui, vivere una vita alla sua presenza per mostrarsi agli altri ed agire come il Maestro.
Gesù era un grande osservatore, uno scrutatore di cuori, ricordiamo il giovane ricco, Nicodemo, La Samaritana, Pietro...
Gesù era una grande parlatore, capace di arrivare al cuore dei semplici, dei poveri di tutti i bisognosi,
ricordiamo le Beatitudini, le parabole molto vicine nel significato alla vita quotidiana di chi l’ascoltava.
Gesù amava i bambini, anche quando stanco li voleva vicini: ”lasciate che i bambini vengano a me”, li segnalava come esempio per chi voleva raggiungere il Regno dei cieli…
Gesù non disdegnò mai nessuno sempre in cerca di ogni uomo, ricordiamo la pecorella smarrita e il buon pastore, l’obolo della vedova… ma anche severo per chi in mala fede scandalizzava i fratelli, o uno dei più piccoli…
Gesù è al servizio di tutti: “ il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20,28), e vuole che chi lo segue faccia lo stesso.
Gesù si adoperò in tutti i modi per radunare i figli di Israele fino all’inverosimile, convinto della verità che predicava ( Lui è verità): “ Alcuni farisei tra la folla gli dissero: ”Maestro, rimprovera i tuoi discepoli”. Ma egli rispose: “Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre” (Lc 19,39-40).
Gesù pianse: ricordiamo Lazzaro, e poi per Gerusalemme: “ Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo “ Se avessi compreso anche, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi…non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Lc 19,41-44).
Questi sono solo alcuni esempi del comportamento di Gesù ma i vangeli, per chi sa leggerli e rileggerli con attenzione sono una miniera di esempi…





Nessuno ha mai amato come Gesù, nessuno ha mai parlato col cuore come Lui, nessuno ha mai agito come Lui. A noi, deboli come siamo, basterebbe mettere in pratica una sola frase del vangelo per essere bravi discepoli, catechisti, operatori di catechesi, annunciatori del suo messaggio.
Essere amici di Gesù, seguaci di Gesù discepoli di Gesù, inviati da Gesù per manifestare al mondo il messaggio di Gesù significa averlo dentro il cuore per poterlo dare agli altri, bambini, ragazzi, giovani adulti, con particolare attenzione alla famiglia, piccola chiesa nella grande Chiesa. Parlare con il cuore per risvegliare nei loro cuori il seme divino in loro addormentato ma non morto, che aspettano un segnale per riprendere la strada, la via da lui indicata, la verità per tutte le genti di ogni razza e nazionalità, rivivere una vita degna di ogni uomo figlio di Dio, consapevoli che Gesù è la Via, la Vita, la Verità.



lunedì 22 luglio 2013

Mandare, posteggiare e che se la sbrighino i preti?


La famiglia nella Catechesi







Chi opera nella catechesi finalmente si è accorto che manca qualcosa nello stabilire un dialogo serio, convincente con i ragazzi. A parte i problemi pratici di ogni parrocchia, ci siamo accorti che il mondo è cambiato, la famiglia non è più come una volta: stiamo assistendo, già da un  po’ di tempo, ad un continuo allontanamento dalla frequenza ai riti religiosi, e forse ci siamo abituati alle frequenti separazioni dei coniugi, ai divorzi che non fanno più scandalo né notizia ma diventata prassi comune.

Contemporaneamente c’è una prassi abitudinaria, da parte dei genitori, di mandare i figli al catechismo in preparazione della prima comunione e della cresima.
Mandare, posteggiare e che se la sbrighino i preti. Sarà menefreghismo, ignoranza, o credenza che arriva da lontano come prassi e tradizione? Perché?

Sicuramente ogni parroco e ogni catechista avranno tante risposte da dare a questa domanda. Ma prima vorrei che rispondessero a queste altre:
Avete fatto attenzione alla crescita dei vostri ragazzi? Vi siete preoccupati di condurli verso scelte libere nel rispetto della loro maturazione umana e cristiana? Conoscete, dico conoscete, le loro famiglie o avete cercato seriamente di coinvolgerle nella formazione cristiana dei lori figli?
Forse avete rinunciato ad avvicinarle credendo che non si sarebbero fatte avanti, ma avete prima studiato un piano di coinvolgimento? Non dobbiamo decidere solo noi, facciamolo insieme!
Eppure sappiamo tutti come sia importante il ruolo della famiglia nell’educazione religiosa dei loro figli: una famiglia unita, che si parla, che comunica, che non rimane isolata in mezzo ai tanti problemi della vita, che crede in Dio e prega.

Parliamo della famiglia, per porre le basi per un avvicinamento serio e un loro coinvolgimento futuro.

Da un articolo di Corrado e Nicoletta Demarchi,  pubblicato in: “Vita diocesana Pinerolese,  03 aprile 2011:

“Orientare i figli al bene significa aiutarli a diventare persone buone, corrette ed oneste”.
E’ opinione diffusa che, mentre la buona educazione e le buone maniere debbano essere insegnate ai figli dai genitori, l’educazione religiosa debba invece essere competenza di terzi: del parroco, delle catechiste, degli animatori.
Il documento di programmazione dei prossimi dieci anni proposto dai vescovi italiani dal titolo “Educare alla vita buona del Vangelo” sottolinea questa preoccupante situazione.
Un’ora alla settimana non è sufficiente per far maturare nei bambini il desiderio di crescere nella fede. Anzi, tornando a casa e vedendo il disimpegno dei familiari, penseranno che quanto hanno appreso all’oratorio non è degno di essere approfondito e vissuto.
La trasmissione della fede è avvenuta per due millenni in stretta collaborazione tra la famiglia e la Chiesa. Senza l’aiuto della famiglia, la Chiesa può fare poco. In un contesto sociale e culturale ormai scristianizzato, le nuove generazioni rischiano seriamente di crescere senza valori, perché non li hanno conosciuti.
A noi genitori spetta, quindi, una grande responsabilità. La nascita di un figlio trasforma l’esistenza del padre e della madre, invadendoli di una grande gioia, ma caricandoli anche, di doveri ben precisi. Perché questa paternità e maternità non diventino, però, un peso è necessario viverle nella prospettiva di una missione dove amare i figli come Dio li ama, seguendoli e accompagnandoli come Lui li segue; significa condividere con il Signore questa opera stupenda, aiutandoli a portare alla maturazione le loro enormi potenzialità e la loro vera vocazione. I figli hanno nei loro genitori il punto di riferimento ed il modello a cui ispirarsi.

Attenzione affettiva e morale

Oltre all’attenzione e formazione intellettuale e fisica, alle quali siamo tutti molto attenti e rigorosi, bisogna affiancare quella affettiva e morale.  Ricevere e donare amore, significa prepararli ad affrontare positivamente le vicende della vita; pena una fragilità psicologica e morale, di tragica attualità nella cronaca quotidiana.
Educare alla libera volontà significa, quindi, abituarli alla disciplina, all’applicazione ed alla rinuncia, per arrivare assieme ad un bene più grande.

Tutti noi vorremmo avere la certezza che i nostri sforzi educativi producano dei frutti. Gesù, nella parabola del buon seminatore, ci ricorda però che, nonostante tutto il nostro impegno, il seme dei buoni insegnamenti non sempre viene accolto nel terreno dei figli.
Questo non ci deve scoraggiare perché, anche nell’insuccesso momentaneo, il bene rimane e può manifestarsi nei tempi e nei modi che il Signore vorrà. Orientare i figli al bene significa aiutarli a diventare persone buone, corrette ed oneste, guidati dalla coscienza, che è la voce di Dio nel cuore dell’uomo, nel praticare la giustizia e l’amore ed a fare opera di discernimento fra il bene e il male.
I bambini crescono bene se il contesto familiare è ricco di valori; il primo insegnamento è quindi l’esempio. I nostri figli ci osservano e ci ascoltano sempre, con grande attenzione, fin dai primi anni di vita, ed è perciò, attraverso il nostro amore di coppia, che possiamo alimentare la fiducia nel matrimonio e nella famiglia.

Succede, alle volte, che siano i nostri figli a costringerci a scuotere la polvere di dosso ed a uscire dalla mediocrità in cui ci siamo adagiati, stimolandoci con domande e riflessioni alle quali siamo in dovere di rispondere, anche con una buona dose di umiltà, ritrovando insieme il vero senso della vita che Dio ci ha donato. Parlare ai figli di Dio è un compito fondamentale dei genitori, partendo dalle bellezze del creato, per arrivare al loro cuore. La scoperta di Dio dentro di sé e l’apertura della porta ad un amico fedele che non li abbandonerà mai, è quanto di più bello possano regalare i genitori ai loro figli.

Nel cammino di fede non dobbiamo nascondere ai nostri figli che la via del bene, come ci ha insegnato Gesù stesso, a prima vista sembra la più difficile, perché è stretta ed in salita e richiede un po’ di sacrificio, ma in compenso è l’unica via che fa di noi delle persone buone e giuste e ci fa sentire tanta gioia e pace nel cuore.
Per questo vale la pena metterci in gioco, tutti insieme, Chiesa, genitori e figli, ricordando sempre il detto latino: “Le parole insegnano, gli esempi trascinano”.

La pastorale familiare ha un compito importante: quello di costruire nelle parrocchie una comunità di adulti. Senza le coppie adulte e giovani che si radunano e che si "vedono" presenti in quanto famiglie, la parrocchia si configura come un insieme di servizi erogati da un gruppo di persone.
quasi una stazione di servizio da autostrada, un aggregato da cui non nasce appartenenza e senso di familiarità.

Non sarà facile, ci vorrà tanta buona volontà e pazienza, costanza e fiducia: le parrocchie sono chiamate in prima linea a lavorare sodo coinvolgendo le famiglie, gli operatori di catechesi. Al bando lo scoraggiamento, c’è una Chiesa da ringiovanire, renderla più presente e attiva in un mondo che vediamo sempre meno cristiano e poco presente.

Cosa fare allora, da dove incominciare?

Dare una risposta non è facile, non c’è una soluzione valida per tutti. In molte parrocchie dove si è tentato un approccio con le famiglie la delusione è stata grande a causa della quasi totale assenza dei genitori. Alla delusione è seguito lo scoraggiamento e il” lasciamo perdere”.
Se proviamo a dar un metodo, possiamo al giorno d’oggi dare soltanto una regola: pazienza e costanza.
Con umiltà dobbiamo ammettere come Chiesa che si è perso molto tempo, sono state trascurate le persone, è prevalso un certo autoritarismo, una volontà del potere e una sottomissione dei fedeli senza parola; l’entusiasmo del Concilio Ecumenico Vaticano secondo è durato molto poco.
E’ difficile oggi superare secoli di lassismo nella pastorale ma non impossibile: ci vuole sempre qualcuno che rompa il ghiaccio, che incominci con tutta serietà e abnegazione. Forse non vedremo i frutti nell’immediato, ma saremo i pionieri del Signore in quest’opera di rinascita della Chiesa.

Dobbiamo capire assieme ai nostri collaboratori, colleghi, e genitori che

“L’istituzione familiare mantiene la sua responsabilità primaria per l’educazione e la trasmissione dei valori e della fede. Se è vero che la famiglia non è la sola educatrice, soprattutto quando si tratta di figli adolescenti, e che non esistono genitori perfetti, dobbiamo dire anche con chiarezza che c’è un’impronta che solo la famiglia può dare e che rimane nel tempo, pur attraverso fasi di latenza e crisi ambientali.
Per questo, occorre impegnarsi a sostenere il ruolo ed il compito dei genitori come educatori in tutti gli ambiti, compreso quello spirituale e cristiano. In forza del diritto naturale e dell’impegno assunto nel Battesimo dei loro figli, essi sono, infatti, i primi ed indispensabili educatori alla fede e alla vita cristiana” (Ed. alla vita buona del vangelo, 8).

Convinciamo i genitori a lavorare assieme a noi per

• seguire con continuità il cam­mino dei figli, partecipando alle diverse fasi del loro percorso catechistico;
• non ritirarsi ai margini affidan­do e delegando tutto alle catechiste e al parroco;
• ritagliarsi, in famiglia, alcuni momenti nei quali riprendere e far di­ventare «vita di ogni giorno» i contenuti che i bambini apprendono a catechismo;
• partecipare ad alcune iniziative e incontri in parrocchia per diventare capaci di «accompagnare» i figli nel cam­mino di fede;
• inserirsi nella vita della comu­nità parrocchiale, specialmente parteci­pando con i figli alla Messa domenicale;
• creare, all'interno della fami­glia, un clima nel quale la fede si respi­ra e si vive.
            Oggi fino a che punto possiamo dire che i genitori sono ancora capaci di trasmettere la loro fede ai figli?

“ Oggi, molti genitori vivono un senso di impotenza educativa; hanno l’impressione di non riuscire a comunicare e che altri soggetti abbiano mezzi più potenti e un’efficacia superiore; sentono di non saper più dire dei no con l’autorevolezza necessaria; fanno fatica a proporre con passione ragioni profonde per vivere. La fragilità della famiglia non deriva solo da motivi interni alla vita della coppia e al rapporto tra genitori e figli. Molto più pesanti e condizionanti sono i motivi esterni: conciliare l’impegno lavorativo con la vita familiare, costruire rapporti sereni in condizioni abitative e urbanistiche sfavorevoli, gestire il problema degli anziani malati e fragili. A ciò si aggiunga il numero crescente delle convivenze di fatto, delle separazioni coniugali e dei divorzi, come pure le difficoltà di un quadro economico, fiscale e sociale che disincentiva le nuove maternità” ( Ed.alla vita buona del vangelo, 8).

Inoltre tutti questi fattori sono serviti all’allontanamento da parte di molti genitori dalle pratiche religiose e di conseguenza da una seria e convinta coscienza religiosa.

“La chiesa deve aiutare le famiglie a diventare come “chiese domestiche” attraverso specifici itinerari di spiritualità. Le famiglie cristiane debbono, a loro volta aiutare la parrocchia a diventare “famiglie di famiglie” (ibidem).

Educare alla vita buona del vangelo deve diventare un crescere insieme e far crescere insieme la nostra piccola chiesa locale, la parrocchia, che unita alle altre parrocchie sotto la guida del Vescovo si collabora alla crescita della Chiesa universale.